INFINITE POTENTIAL Documentario su DAVID BOHM
DIALOGO TRA DAVID BOHM E RUPERT SHELDRAKE
e versione originale inglese
INTERVISTA ESCLUSIVA a DAVID BOHM del 1987
e versione originale inglese
Estratto dal capitolo 19 di STORIA dei QUANTI
Einstein, anche se nuovamente sconfitto, con il paradosso EPR aveva messo in evidenza la necessità di fare chiarezza su alcuni aspetti fondamentali della teoria quantistica. Il primo, il più importante secondo Einstein, riguardava il realismo, ovvero la richiesta che la descrizione fatta dalla teoria corrispondesse a un mondo che ne era indipendente e che esistesse al di là di essa. Il secondo punto su cui Einstein richiamò l’attenzione era quello della località, anche se lo considerava solo un’assurda e paradossale conseguenza dell’incompletezza della teoria quantistica. Per lui era inconcepibile che la teoria quantistica prevedesse l’esistenza di particelle in stato di entanglement che, rimanendo collegate in modo istantaneo anche a distanze molto elevate, mostravano una realtà non-locale, in cui lo spazio sembrava non contare. D’altra parte tutta la comunità scientifica, Bohr compreso, non era disposta ad accettare tale non-località.
Un altro aspetto che era emerso nei vari confronti tra Einstein e Bohr e che necessitava di chiarimento era la determinazione del confine tra il mondo microscopico e quello macroscopico. Nelle sue confutazioni degli esperimenti concettuali di Einstein ai congressi di Solvay, Bohr aveva applicato il principio di indeterminazione a sistemi macroscopici, come lo schermo mobile che oscillava in seguito al passaggio del fotone nel Gedankenexperiment del 1927. Ma se il principio di indeterminazione era nato all’interno di una teoria concepita per il mondo microscopico era lecito applicarlo a un sistema macroscopico? E dov’era il confine tra il mondo microscopico e quello macroscopico? Bohr non era mai stato esplicito al riguardo, anche se già nel 1918 aveva formulato un principio di corrispondenza nel quale affermava che i risultati ottenuti con la fisica quantistica a livello microscopico dovevano ridursi a quelli classici per i sistemi macroscopici. Per Bohr la fisica quantistica era un ampliamento di quella classica, ma non definì mai il confine tra i due mondi, giocando spesso su questa ambiguità.
Schrödinger, al pari di Einstein, era del tutto insoddisfatto dell’interpretazione della scuola di Copenaghen e alla fine del 1935 affrontò proprio il problema dell’estensione della meccanica quantistica al mondo macroscopico in un lavoro che pubblicò in tre parti e che divenne famoso per il paradosso del gatto illustrato al suo interno. Si tratta di un esperimento concettuale che Schrödinger ideò per mettere in evidenza la situazione assurda a cui si arriverebbe applicando la meccanica quantistica all’esperienza quotidiana, alla realtà macroscopica.
In tale paradosso Schrödinger immaginò un gatto dentro a una scatola chiusa, cosi che dall’esterno non si poteva vedere cosa stava succedendo al suo interno. Assieme al gatto c’erano anche un contatore geiger, del materiale radioattivo, un martello e una fiala di vetro contenente dell’acido cianidrico. Schrödinger supponeva che nell’intervallo di tempo di un’ora ci fosse la probabilità del 50% che un atomo del campione radioattivo decadesse. In questo caso il contatore geiger sarebbe scattato e avrebbe liberato il martello, lasciandolo cadere sopra la fiala e rompendola, cosicché l’acido cianidrico avrebbe ucciso il gatto.
Dopo un’ora, prima dell’apertura della scatola, ossia prima dell’atto di osservazione, la teoria quantistica afferma che la funzione d’onda associata al gatto è formata da due termini che rappresentano le due possibilità per l’animale.
Si dice che il gatto è in una sovrapposizione degli stati |vivo> e |morto> e la compresenza di questi due stati rimane fino a quando non si effettua una misurazione, ovvero fino a quando non si apre la scatola e si guarda dentro. Tuttavia, secondo Schrödinger era assurdo pensare che fosse l’atto di percezione dello sperimentatore, all’apertura della scatola, a determinare il destino del gatto.
Estratto dal capitolo 3 di CAMBIA LA TUA VITA CON LA FISICA QUANTISTICA
LO STATO INTERNO E L’INTENZIONE
Il principio di indeterminazione di Heisenberg
[…] Attraverso il principio di indeterminazione di Heisenberg possiamo vedere nuovamente la centralità e l’importanza di chi fa le osservazioni, di chi guarda la realtà e, di conseguenza, la determina. In ogni istante della nostra vita siamo gli artefici di quello che si manifesta e, consapevoli o no, siamo contemporaneamente la causa e l’effetto. È una nostra responsabilità personale il passaggio da ciò che potenzialmente potremmo essere o fare a quello che poi accade. Non è proprio possibile considerarsi dei soggetti distaccati e ininfluenti sulla nostra realtà e in qualche modo vittime di quello che succede, come se fosse indipendente da noi.
Oltre a questo fatto, il principio di indeterminazione ci indica chiaramente la soluzione, ricordandoci che, in questo processo, la modalità con cui ci poniamo determina il risultato. Lo stato dell’osservatore, la sua intenzionalità condizionano l’esito finale. Pronunciare frasi come “tanto mi va sempre tutto storto” o “non faccio mai la cosa giusta” determina la nostra realtà più di quanto possiamo anche solo lontanamente sospettare. Pertanto, è importantissimo fare un profondo e radicale lavoro su se stessi, sul proprio stato interno, sulle proprie credenze e convinzioni, consce ed inconsce, perché solo attraverso una trasformazione personale su quello che possiamo chiamare il piano dell’Essere riusciamo a modificare la nostra realtà. È il dentro che determina il fuori.
Questa cosa la sanno benissimo i nativi nordamericani che, nei periodi di siccità, eseguono la danza della pioggia non con l’attitudine di chiedere ma con quella di ringraziare, come se la pioggia fosse già arrivata. È la fiducia per qualcosa che c’è già e che deve solo manifestarsi nella realtà fisica circostante. È la certezza che la funzione d’onda comprende, in una sovrapposizione degli stati, tutte le possibilità, e che l’atto di osservazione e la modalità con cui viene effettuato la faranno collassare in una sola e ben precisa di queste. […]
L’importanza della guarigione dello stato interno la ritroviamo anche nel Vangelo, nel passo in cui il Cristo rimette i peccati al paralitico che gli viene presentato, e solo successivamente lo guarisce nel corpo. Il primato spetta sempre allo spirito, al pensiero, a ciò che sta dentro, e il resto segue come una naturale conseguenza. Viceversa, ogni azione sul piano prettamente materiale non può portare a una vera trasformazione se non è accompagnata da un cambio di attitudine.
Per questo, se stiamo per intraprendere un progetto o se stiamo aspettando l’esito di qualcosa, prima è opportuno fermarci e osservare il nostro stato interno. Se proviamo paura, rabbia o un senso di colpa, queste emozioni condizioneranno inevitabilmente quello che seguirà. Non serve darsi da fare, provare strade diverse; invece ha molto più senso fare un lavoro che permetta di cambiare quello che proviamo e, usando le parole del mago della pioggia, riportarci nel Tao. Questo processo alchemico interiore costituirà il risultato principale e più importante, mentre ciò che seguirà sul piano fisico sarà solamente un effetto secondario.
L’assunzione di responsabilità a cui il principio di indeterminazione ci richiama non riguarda solo noi ma anche chi ci sta attorno. Il modo con cui osserviamo gli altri influisce su di loro. Basti pensare a una persona che va dal medico e che viene vista solo come un malato, una macchina fisica malfunzionante, invece che come un essere umano in un processo di guarigione. E la stessa cosa accade anche in altre relazioni, come quella tra un insegnante e i suoi allievi, o tra i genitori e i figli. È importante ricordarsi che, analogamente alle onde elettromagnetiche, ci comportiamo in maniera diversa se sappiamo di essere osservati e rispondiamo a seconda di come viene fatta l’osservazione. […]